Tim Cook e Apple vincono la causa | Spaziocrypto
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Da Mattia Mezzetti Immagine del profilo Mattia Mezzetti
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Pagamento In Cryptovalute: Il Giudice Si Schiera Con Apple

Un tribunale californiano doveva sentenziare se l'azienda attualmente guidata da Tim Cook avesse imposto tasse nascoste sul pagamento in cryptovalute.

Quella del 26 marzo è stata una data importante per il mondo delle cryptovalute. E anche per Apple, il gigante tecnologico che, molto spesso, finisce a processo per l'una o l'altra ragione. Nello specifico, questa volta, un tribunale californiano doveva sentenziare se l'azienda attualmente guidata da Tim Cook avesse imposto tasse nascoste sul pagamento in cryptovalute.

Tutto risale a una class action che, negli USA, ha messo numerosi entusiasti delle crypto, i quali desideravano pagare servizi della Grande Mela con i fondi contenuti all'interno del proprio wallet, contro Apple, accusata di complicare questo servizio escludendo circuiti non centralizzati e applicare fees nascoste.

La funzione Tap to Pay permette di pagare applicazioni dell'Apple Store tramite cryptovaluta, ma non comunica in maniera trasparente con il portafoglio elettronico. Gli utenti sospettavano che Apple fosse in malafede e che il disservizio fosse voluto poiché la compagnia desiderava scongiurare i pagamenti in coins e li tassava in maniera eccessiva. Il giudice distrettuale Vince Chhabria ha però dato ragione all'azienda di Cupertino.

Gas fees oscure

Il timore di chi desidera effettuare il pagamento in cryptovalute si deve alla padronanza che Apple ha sul suo store. Dato il funzionamento di tale mercato virtuale, l'azienda che ne detiene il controllo potrebbe approfittare di aumenti dei costi associati alle transazioni (Quelle gas fees che vi abbiamo descritto sulla guida di SpazioCrypto).

La corte ha però sentenziato che il regolamento dello store scongiura questo rischio.

Le ragioni della sentenza

Secondo il giudice, la class action presenta evidenti problemi, giudicati insormontabili. Di fatto, è scritta male e riporta in maniera grossolana e imprecisa alcuni dettagli relativi agli accordi tra Apple e i fornitori di servizio di pagamento in cryptovalute. C'è poco da stupirsi: questi contratti sono segreti e per l'azienda è stato molto facile dimostrare in tribunale che le informazioni in possesso di chi aveva intentato la causa erano inesatte.

Alla luce delle giustificazioni dell'azienda, e di fronte alle assunzioni erronee della class action, il giudice ha espresso ragionevoli dubbi sul fatto che gli accordi stipulati tra Apple e i circuiti di pagamento non fossero legali. Dal suo punto di vista, non si può dimostrare che la società di Cupertino agisca all'infuori dello Sherman Antitrust Act, la normativa statunitense che regola i rapporti economico-finanziari tra fornitore e acquirente di un servizio.

La corte ha smontato, quasi pezzo per pezzo, le argomentazioni della class action. Soprattutto, è stato evidenziato l'aspetto totalmente speculativo relativamente all'esistenza di tasse nascoste e gonfiate, come quelle che i firmatari dell'azione avevano riportato nero su bianco e accusato Apple di mettere in pratica al buio, a causa dei suoi accordi con i fornitori di terze parti di pagamento in cryptovalute.

Un possibile secondo round

Come da prassi, a chi ha presentato la class action saranno ora concesse tre settimane per riscrivere le proprie accuse e ripresentare, di fronte alla corte, un documento con tutte le correzioni apportate. Visionata questa nuova versione, il tribunale stabilirà se esistano gli estremi per procedere contro Apple. Qualora non venisse presentato alcunché, la causa sarebbe automaticamente estinta, senza nessun tipo di esito.

Pagamento in cryptovalute in ambiente Apple

L'intera class action è stata messa in moto lo scorso novembre. Tutto è nato dal fatto che gli utilizzatori di Venmo, servizio di pagamento in cryptovalute di proprietà di PayPal; Google Pay; Cash App e Apple Cash si erano lamentati di come queste applicazioni prevenissero l'utilizzo di transazioni decentralizzate. A loro dire, la responsabilità di questa scelta penalizzante era dovuta agli accordi tra le suddette applicazioni e Apple.

Le transazioni decentralizzate sono sconsigliate, non proibite

L'azienda, da parte sua, aveva risposto che, in realtà, esistono applicazioni sull'App Store le quali consentono, all'utente che lo desideri, lo sfruttamento di transazioni decentralizzate in cryptovaluta.

La mela morsicata ha reso i legali che seguivano la class action edotti del fatto che la guideline 3.1.5, accessibile a chiunque possa entrare sullo store, suggerisce alle applicazioni di terze parti di appoggiarsi a exchange crypto ufficiali e affidabili ma non proibisce, né complica, lo sfruttamento di sistemi transazionali decentralizzati, qualora l'utente accetti di procedere per quei canali.

Nel mese di febbraio, Apple avvertì via mail chi si preparava a portare la class action in tribunale della certa sconfitta, motivandola con le stesse ragioni poi date dal giudice. L'azienda richiedeva di ritirare immediatamente la causa, così da dover evitare l'intero iter processuale. I firmatari hanno comunque preferito andare avanti, ma non hanno riscontrato alcun successo.

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