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L'Ex Ministro Delle Finanze Cinese Esorta Il Suo Paese A Diffidare Delle Criptovalute

Lou Jiwei, ex Ministro cinese alle Finanze, diffida delle cripto e richiama il suo Paese all'attenzione.

Lou Jiwei, ex ministro cinese delle Finanze, che ormai non fa più politica in prima persona, è intervenuto al Tsinghua Wudaokou Chief Economists Forum, svoltosi a Pechino nel corso dello scorso fine settimana. Da quella sede, ha esortato il suo Paese a monitorare da vicino la situazione delle criptovalute e l'approccio al loro sviluppo che stanno avendo altre nazioni, come ad esempio gli USA.

Jiwei non è certo entusiasta di questi nuovi asset. Anzi, a suo dire, le criptovalute pongono una seria minaccia alla stabilità finanziaria. Agevolerebbero infatti il riciclaggio di denaro e potrebbero minare i sistemi economici alla base dell'operatività delle nazioni. Insomma, l'opinione del politico è allineata a quella degli economisti della sua generazione.

Le Criptovalute nel Sistema Finanziario Mondiale

Il ragionamento di Jiwei non è stato un attacco gratuito alle criptovalute - in una cornice all'interno della quale, tra l'altro, non se n'è soltanto parlato male - bensì un corollario alla sua riflessione sul cambiamento di posizione degli USA nei confronti di questi sistemi di pagamento. Ora infatti, i token sembrano essere ben visti da ambedue i partiti che si contenderanno la poltrona dello Studio Ovale tra un mese.

In seguito all'autorizzazione della Securities and Exchange Commission (SEC) a trattare cripto anche sui mercati tradizionali, come ad esempio quello di Wall Street, Jiwei ha voluto mettere in guardia rispetto alle possibili implicazioni negative di questa scelta. Motivando la sua posizione, l'ex ministro ha evidenziato come le criptovalute rappresentino un pericolo, a causa della facilità con cui possono evadere le misure anti-terrorismo e anti-riciclaggio. Questi rischi dovrebbero sempre essere tenuti presenti, al fine di salvaguardare i sistemi finanziari da potenziali shock.

Dichiarazioni e Contraddizioni

I politici cinesi, secondo Jiwei, devono prestare molta attenzione ai cambiamenti internazionali nella percezione dei crypto asset. Vanno studiati rischi e innovazioni relativi all'economia digitale perché, per dirla con le sue parole:

"Gli ultimi cambiamenti internazionali e gli adeguamenti politici sono cruciali per lo sviluppo dell'economia digitale."

La Cina è allineata con le tesi del suo ex Ministro alle Finanze. Il Paese asiatico ha infatti vietato da tempo trading e mining di BTC. La legge che rende queste due pratiche un reato risale al 2021 e, per quanto parli espressamente di Bitcoin, il governo ha sollecitato le proprie Forze dell'Ordine a non tollerare nemmeno la compravendita di altre cripto.

La realtà, però, è ben diversa dal quadro normativo. La Cina controlla più del 55% della rete di mining BTC e, sebbene le società statunitensi, forti di una legislazione morbida, stiano sempre più guadagnando quote di mercato, la tigre asiatica detiene ancora la percentuale più elevata dell'hashrate mondiale delle criptovalute.

Non è da escludere che i piani alti del partito comunista, in netta controtendenza con quanto comunicano in pubblico, siano lieti di questo dato. In fin dei conti, si tratta di un primato nazionale che rende il Paese leader nella produzione di un asset finanziario molto richiesto.

Criptovalute come Arma Politica?

Come spesso accade in Cina, le posizioni governative e la realtà dei fatti sono piuttosto distanti. Il governo sa bene di non poter frenare le pulsioni e le iniziative di ogni cittadino, in un Paese così grande e tanto capace di elaborare gli stimoli che giungono dall'estero. Tende perciò a chiudere un occhio e non punire chi si dedica al mining, nonostante professi di voler fare esattamente il contrario. Nelle parole di Jiwei si legge una sottolineatura della posizione ufficiale del partito, ma anche una frecciata - neppure troppo velata - all'operato degli Stati Uniti.

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